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Al di là della pubblicazione, scrivere è un atto liberatorio. È espressione della propria creatività, è libera manifestazione di pensiero, a volte così libera da non renderci conto di cosa ci sia dietro alle parole che abbiamo messo sulla carta.

Se scriviamo per noi stessi, può essere anche terapeutico. Io sono convinta che sia necessario dialogare con la parte oscura di noi. Tutti ne abbiamo una, e non dobbiamo lasciarla sola, relegata in un angolo. È meglio parlarci, confrontarci con lei. Se ci risulta ostico e difficile, scrivere può aiutarci. Scrivere per gli altri, però, è un passo di grande apertura. Si impara ad essere molto ricettivi e a sviluppare la capacità di osservazione, essenziale per poter scrivere delle buone storie. Gli altri diventano i nostri primari soggetti d'interesse, fonte di ispirazione.

Tutto ciò che ci circonda acquista nuovi aspetti, nella mente di uno scrittore: lo stimolo per un nuovo racconto può trovarsi anche in una conversazione fra due sconosciuti su un autobus. Inventare e scrivere storie aiuta ad aprire gli occhi sul mondo: li devi proprio allargare, fino a farli diventare enormi, e sporgerli, per vedere in panoramica. Spesso ci limitiamo a guardare soltanto davanti a noi, per pigrizia o per la fretta, ma se ci alleniamo ad ampliare la nostra visuale scopriremo molte cose. È sufficiente cominciare a prestare più attenzione, magari su meno dettagli per volta, però in modo più esauriente. L'importante è cogliere gli aspetti meno evidenti, i particolari più insoliti e bizzarri. E per far questo, è bene fermarsi. Lasciamo correre il mondo e fermiamoci a guardarlo.